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 Vox Antiqua n. 2 - Indice 

Editoriale
Giovanni Conti

 

La Semiologia gregoriana e Eugène Cardine
Luigi Agustoni

 

Unity in Diversity. Fundamentals of the Interpretation of Gregorian Chant
Johannes Berchmans Göschl

 

L’ipermetria strofica negli inni ambrosiani: confronto tra fonti, analisi semiologica e valutazioni interpretative
Riccardo Zoia

 

Le strutture melodiche di Alfonso X el Sabio nelle Cantigas de Santa Maria
Maria Incoronata Colantuono
 

La ballata italiana nel manoscritto Oxford, Bodleian Library, Canon. misc. 213
Lorenza Donadini

 

Lo sviluppo liturgico-musicale del canto dell’Offertorium
Ján Velbacky

 

Notitiæ

 Editoriale 

In questo numero il ricordo di Eugène Cardine a 25 anni dalla scomparsa e il nostro omaggio agli 80 anni di Nino Albarosa, l’uomo e lo studioso che ha aperto alla Comunità scientifica italiana le porte della Semiologia Gregoriana.

Nell’occasione dei 25 anni dalla scomparsa di Eugène Cardine, colui che - convinti dalla Semiologia gregoriana - consideriamo come un Padre, e nel compimento dell’ottantesimo anno di età del prof. Nino Albarosa, la nostra Rivista non poteva che sottolineare entrambi gli anniversari. Rubando le parole a un gregorianista ben più eminente di chi scrive queste righe, potremmo dire che: «lI movimento religioso culturale della restaurazione gregoriana è sostenuto da una costellazione di ricercatori e operatori. Voler ignorare l’apporto dei singoli e innumerevoli collaboratori alla complessa e vasta realizzazione, non solo sarebbe far torto a chi nell’ombra e spesso nell’anonimia ha costituito degli ingranaggi indispensabili perché il movimento camminasse, ma sarebbe altrettanto far torto all’opera della restaurazione gregoriana considerata nella sua globalità, perché se ne sminuirebbe l’immensa portata». È quindi con immenso piacere e con senso di responsabilità che - onorando gli aspetti celebrativi legati all’enorme portato di affettività che queste esemplari figure hanno saputo catalizzare sulle loro persone nel corso delle pluridecennali attività - abbiamo deciso di dedicare questo numero ad entrambi: Cardine e Albarosa.
Non si tratta né di un volume celebrativo, né monografico, ma certamente è segno tangibile dei sentimenti che ci nascono in animo. E a chi meglio di colui che condivise negli anni le ansie e le preoccupazioni per lo svilupparsi della scienza semiologica, avremmo potuto affidare il ricordo di Eugène Cardine. Eccoci dunque a proporre, tra gli articoli di questo numero, un testo ormai di difficile reperimento che Luigi Agustoni pronunciò in occasione del Congresso che celebrava gli 75 anni del monaco francese al quale, tra le altre cose, si rivolgeva dicendo: «come nella costellazione celeste vi sono degli astri enormemente più grandi e luminosi o particolarmente influenti, tanto da aver ricevuto un nome evocatore di alcune loro qualità o caratteristiche preminenti o eccelse, così anche nella costellazione degli studiosi e degli operatori nella restaurazione gregoriana vi sono astri particolarmente luminosi o influenti, che sono entrati nella storia con il loro nome. Non per iperbole, né per forzatura occasionale, tenendo presente tutta l’evoluzione degli studi gregoriani con le conoscenze odierne, uno dei più prestanti nomi è certamente Eugène Cardine, rilevando come egli fece scaturire la sorgente della semiologia gregoriana, con la quale è stata fecondata tutta una catena di indagini e studi specifici in materia». Il lettore ritroverà parole a ragione ben più lusinghiere nell’articolo agustoniano che inaugura una serie di scritti del grande gregorianista svizzero, articoli che abbiamo deciso di far comparire sui prossimi numeri di Vox Antiqua, costituendo materiale prezioso soprattutto per le nuove generazioni di studenti ai quali rischia di sfuggire la portata dell’epoca ‘pionieristica’ della ricerca, di cui Agustoni e Cardine furono assoluti protagonisti.
Nel numero che presentiamo, in coerenza con la vocazione della nostra Rivista, ospitiamo alcuni contributi nel filone della ricerca in campo gregoriano e comunque del canto sacro monodico. Ci onora la versione internazionale firmata da Johannes Berchmans Göschl della sua pregnante riflessione il cui titolo è una sorta di manifesto: Unity in Diversity. Fuldamentals of the Interpretation of Gregorian Chant. Nelle righe dello studioso tedesco ritroveremo tutto lo spirito del pensiero cardiniano e agustoniano che Göschl pone come premessa irrinunciabile a un importante ed altrettanto irrinunciabile percorso evolutivo, di cui egli stesso è stato ed è indiscusso protagonista. Di notevole impatto è poi uno studio nel campo del Canto Ambrosiano, paradossalmente sempre meno indagato dopo qualche decennio di infiammati entusiasmi. Riccardo Zoia si sofferma sull’Ipermetria strofica degli inni ambrosiani mettendo in atto un confronto che unisce l’analisi delle fonti e uno sguardo alla luce della semiologia per approdare ad una serie di inattese e per certi versi singolari valutazioni a supporto del momento esecutivo e quindi interpretativo. Rimanendo in ambito monodico, uno studio ad ampio raggio è quello firmato dallo studioso slovacco Ján Velbacky che propone un’analisi dettagliata dello Sviluppo liturgico-musicale del canto dell’Offertorium intesa come forma propria.
Al pieno Medioevo sono poi da relazionare due articoli che abbiamo particolare piacere di ospitare: Il primo è della musicologa italiana, da alcuni anni docente in terra spagnola, Maria Incoronata Colantuono, che ritorna sulla questione riguardante Alfonso X detto El Sabio quale autore e di alcune delle celebri Cantigas che portano il suo nome, offrendo nuovi elementi a sostegno della tesi che vorrebbe individuate nella composizione melodica tracce che suggeriscono l’azione diretta del “monarca saggio” nel processo di creazione musicale. Il secondo della ricercatrice e musicista svizzera Lorenza Donadini che, con un lavoro elaborato negli ambienti dell’Università di Basilea, si sofferma sulla Ballata italiana, prendendo in esame il materiale contenuto nel manoscritto Oxford, Bodleian Library, Canon. misc. 213, un manoscritto importante per essere l’unica fonte che abbia tramandato l’opera di compositori italiani, buona parte dei quali minori, presenti apparentemente senza una ragione specifica all’interno del manoscritto dedicato alla musica d’oltralpe e in particolare a Guillaume Dufay e Gilles Binchois.
Un panorama variegato, quindi, quello della nostra proposta, che non ci impedisce di pensare, come detto, questo volume quale omaggio al ricordo di Cardine e agli 80 anni di Nino Albarosa la cui figura – anche come diretto discepolo di Cardine - ci rende possibile l’avviare una breve riflessione sulle radici, sulle funzioni e sull’attualità dell’approccio semiologico al Canto gregoriano.
Riconoscere, infatti, la centralità della riflessione albarosiana nell’ambito del contributo italiano a tale disciplina equivale a riconoscere a questo studioso il merito di aver sottratto il metodo semiologico ai rischi di un’incontrollata soggettività in cui rischiava di perdersi quando, scomparso E. Cardine, la giovane scienza era in effetti ancora impegnata nelle riflessioni intorno a principi e metodi.
Come è stato già sottolineato in passato1, Nino Albarosa, tra gli studiosi italiani, ha saputo affermare con forza la scientificità del metodo semiologico conducendolo sul solido piano della fedeltà al compito storico che gli era stato assegnato fin dalle sue origini – quello di un rinnovamento documentato e consapevole del Canto gregoriano – ribadendo con convinzione che la lettura e l’analisi delle fonti paleografiche investivano ogni studioso di una grande funzione e responsabilità in ordine ai principi di coscienza e memoria, coerenza e innovazione, creando in tal modo le premesse perché nuove generazioni di studiosi e interpreti potessero riconoscersi in una salda e condivisa identità culturale. Sul piano del metodo si è trattato, a ben vedere, non solo della semplice dichiarazione di appartenenza a una tradizione di studi, quella cardiniana, e della mera applicazione di stilemi interpretativi – giacché in quest’ottica il presente sarebbe stato vissuto solo come emergenza del passato – ma del riconoscimento del fatto che il nesso permanente e attivo con i maestri possiede un carattere evolutivo, che la consonanza delle posizioni non deve condurre a un sapere irrigidito e che una sintesi storica può, e deve, inserirsi nello spazio d’ordine in cui conoscenze e teorie condivise si configurano come strutturalmente aperte a molteplicità di vedute.
“Unità nella molteplicità”, oltre ad essere titolo e convinto richiamo dell’ultimo Congresso Internazionale dell’ A.I.S.C.Gre.2, è anche il motto con cui riassumere idealmente l’apertura e l’impegno scientifico di Nino Albarosa, che ha saputo declinare le esigenze della tradizione in forme progettuali e le convenzioni in fonti di idee, riuscendo ad affiancare allo studioso autorevole l’interprete lucido e conseguente.
La specificità che ha segnato fin dalle sue origini l’opera del prof. Albarosa consiste appunto nell’aver considerato il dato semiografico non come problema, ma di averlo esperito come risorsa espressiva, collocandolo nella visione d’insieme non dogmatica di un razionalismo critico, aperto alla continua verifica delle proprie istanze e alla continua attualizzazione, operante sul terreno dell’attività didattica e della prassi esecutiva.
In tale prospettiva andrebbero collocate, ad esempio, le riflessioni albarosiane su quella che è stata denominata Bewegungstendenz3 o sulla riconsiderazione funzionale del movimento “al grave”4, contributi che, al netto delle inevitabili diversità di vedute emerse negli anni nell’ambito della comunità scientifica, hanno avuto l’importante funzione di porre dinanzi al nostro sguardo alcune ineludibili problematicità: la principale delle quali riguarda l’ossatura ritmica della melodia e il suo continuo (ri)strutturarsi nello svolgimento dell’evento sonoro. In essa le potenzialità espressive non si esauriscono nel contenuto intenzionale, quello graficamente espresso dal segno neumatico, ma possono essere individuate e sviluppate in conseguenza del lavoro svolto sul campo, quello interpretativo (che ha sempre costituito il naturale e organico complemento dell’attività di Nino Albarosa) e verificate sul piano scientifico mediante la comparazione dei contesti.
Il reale valore culturale dei citati contributi albarosiani quindi non risiede tanto nell’individuazione di “micro-articolazioni”, come una lettura semplicistica potrebbe suggerire, quanto nell’aver saputo smarcare sapientemente gli studi semiologici da tentazioni deterministiche di causa-effetto (rischio sempre presente in un approccio superficiale a tale disciplina) o, all’estremo opposto, da generalità e astrazioni, ponendo sul tavolo questioni interpretative senz’altro più in linea con l’epoca di produzione dei più antichi manoscritti adiastematici, rispetto a uno “scientismo” di stampo positivista – storicamente estraneo alla logica che informa il rapporto parola/neuma – in cui ancora oggi sembrano muoversi alcune tendenze della ricerca.
Gli studi di Nino Albarosa, la sua attività didattica e l’innesto su di essi delle istanze interpretative hanno finora mostrato come sia possibile l’elaborazione di un sapere composito che, lungi dallo specchiarsi nelle proprie formulazioni, si configura come esperienza conoscitiva che colloca il Canto Gregoriano nel suo radicamento storico e nell’attualità della prassi, fra la compiutezza della scienza e l’ineffabilità dell’essenza.

Questa nostra modesta iniziativa giunga a Nino Albarosa come gesto di profonda riconoscenza e sincera gratitudine, a superamento di ogni incomprensione che il confronto tra umani a volte pone dinnanzi. Certi di poter individuare nuove e proficue occasioni di incontro, vadano a Lui i migliori auguri da parte del Comitato scientifico, della Redazione e di tutti noi.

 

Giovanni Conti
direttore di Vox Antiqua

 

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