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 Editoriale 

 Vox Antiqua n. 8 - Indice 

Editoriale
Giovanni Conti

 

Luigi Agustoni and Gregorian Chant
Johannes Berchmans Göschl

 

I manoscritti liturgico-musicali medievali della Biblioteca de Catalunya
Maria Incoronata Colantuono

 

La raccolta Harmonia super vespertinos omnium solemnitatum psalmos sex vocibus decantanda (Venezia, Gardano, 1579) di Orazio Colombano, maestro di cappella della Cattedrale di Vercelli.
Un contributo alla storia di un’istituzione musicale in epoca post-tridentina
Denis Silano

 

Modal shifts and chromatic tones: the textual context
Franco Ackermans

 

Notitiae

La fedele guida dell’insegnamento di Luigi Agustoni

 

È una figura a cui il Canto Gregoriano non potrà mai rinunciare. Stiamo parlando di Luigi Agustoni al quale il suo maggior collaboratore, Johannes Berchmans Göschl, dedica l’articolo che apre il presente numero. Si tratta dell’intervento con cui il celebre gregorianista tedesco – successore per lunghi anni di Agustoni stesso alla guida dell’Associazione Internazionale Studi di Canto Gregoriano – ha aperto ufficialmente i lavori del Congresso A.I.S.C.Gre tenutosi a Lugano nel 2015. Un anno simbolo e un appuntamento di studio particolarmente ricco di significato, che si è posto al termine delle molteplici iniziative che, un po’ ovunque nel mondo, hanno celebrato i dieci anni della scomparsa di Luigi Agustoni. Lugano, la sua città elettiva, nella quale mosse i primi passi nella formazione liturgica e musicale e nella quale esercitò egli stesso il ruolo di docente di Canto gregoriano e di organista della Chiesa Cattedrale.
Göschl, con il suo stile sobrio e senza enfasi, traccia un profilo agustoniano perfetto, il cui cuore pulsante non è certo la lode per i molteplici ed innegabili meriti avuti nella ricerca gregoriana e liturgica. L’accento è posto sul ruolo di collaboratore e nel contempo primo discepolo di Eugène Cardine: il loro sodalizio risale a molti anni prima della chiamata del monaco solesmense a Roma e il documentato scambio di esperienze e opinioni sono le fondamenta di quella che alla fine degli anni Sessanta del Novecento fu consacrata come Semiologia Gregoriana. Il Presidente onorario dell’A.I.S.C.Gre sottolinea con vigore come Agustoni, proprio a partire dalla loro frequentazione cominciata nel 1946, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, esercitò una critica senza riguardi a deficit musicali che secondo il suo parere mostravano fin dai primi anni ’70 le interpretazioni di registrazioni orientate semiologicamente. Da allora in poi il suo agire nel campo del canto gregoriano fu dominato da un pensiero: come è possibile che interpretazioni di canti gregoriani sulla base della semiologia maturino risultati così insufficienti e cosa bisogna fare per trasferire i dati semiologici nel canto, sicché da ciò sorga una interpretazione ad alto livello e non il contrario? Questa problematica che Luigi Agustoni visse per anni e in modo profondamente esistenziale costituì il motore per un’ultima grande fatica, che portò all’opera in tre volumi Einführung in die Interpretation des Gregorianischen Chorals, firmata insieme a Göschl e pubblicata in italiano sotto il titolo di Introduzione all’interpretazione del canto gregoriano, un lavoro la cui elaborazione si prolungò per sette anni e che ogni serio gregorianista, non abbagliato da egocentriche, velleitarie e interminabili pubblicazioni mono-autoriali, considera la Summa dell’odierno sapere gregoriano.
Un interessante contributo della studiosa italiana operante da diversi anni in Spagna, Maria Incoronata Colantuono, ci introduce nel contesto catalano che, durante la dominazione carolingia, ebbe un ruolo di primo piano nel processo di unificazione e diffusione della liturgia romana a partire dal secolo IX. Il graduale recupero, ad opera dei Franchi, delle terre che soggiacevano alla dominazione araba favorì la romanizzazione liturgica sotto l’egida della sede arcivescovile di Narbona. Parallelamente a questo processo, il monaco Benedetto d’Aniane (ca. 750-821), attraverso l’introduzione della Regola monastica benedettina nell’area comprendente Barcellona, Girona, Vic e Urgell, promosse l’espansione del rito romano anche nei grandi monasteri benedettini catalani. La romanizzazione si realizzò durante il secolo IX in tutta l’area liturgica catalano-narbonese, sia nelle cattedrali che nelle piccole chiese. Colantuono mette sotto la sua lente i manoscritti liturgico-musicali della Biblioteca de Catalunya il cui contenuto permette di constatare la presenza di peculiarità locali riscontrabili in tutta l’area liturgica catalano-narbonese. Si tratta di elementi autoctoni che perdurarono specialmente nelle celebrazioni di feste locali e nell’amministrazione di alcuni sacramenti, laddove si avvertiva maggiormente la necessità di armonizzare le nuove disposizioni liturgiche alle peculiarità locali di ciascuna comunità. La studiosa giunge alla conclusione che il contenuto liturgico e musicale di ciascun manoscritto fornisce indizi imprescindibili per la ricostruzione rituale e musicale del repertorio autoctono; mentre la peculiarità della notazione musicale dona indicazioni che vanno al di là della traccia melodica di un canto e della sua funzione cultuale, essendo testimonianza diretta di una specificità culturale locale, come quella catalana, già fortemente radicata nel Medioevo.
Uno spazio non indifferente è dato, nel presente numero, allo studio che Denis Silano dedica all’attività e alla produzione musicale del francescano Orazio Colombano che nel 1579 veniva accolto nella cattedrale di Vercelli in vesti di “moderatore della musica”. Silano – attuale Maestro della Cappella Vercellensis e successore di Colombano –, ponendo non poca attenzione agli aspetti di relazione con il canto gregoriano, si concentra sulla raccolta Harmonia super vespertinos omnium solemnitatum psalmos sex vocibus, pubblicata in quello stesso anno da Gardano a Venezia e mostra come la stessa sia opera sontuosa e magniloquente. Fu la prima fatica editoriale di Colombano nonché prima stampa di un musicista attivo nell’istituzione vercellese. Lo studio indaga la presenza dell’autore a Vercelli, la storia, i protagonisti e la prassi della Cappella protetta da Casa Savoia in epoca post-tridentina e le caratteristiche formali quali il linguaggio, la struttura e la semiografia della raccolta. Inoltre, Silano, seppur limitatamente, offre una preziosa trascrizione moderna attenta agli aspetti filologici.

Chiude questo numero un importante studio di Franco Ackermans che affronta lo “scottante” tema del cromatismo nel repertorio gregoriano. Attraverso un dettagliato percorso analitico, il ricercatore olandese mostra come negli ultimi anni lo studio comparativo dei manoscritti abbia reso la comunità scientifica gregoriana sempre più consapevole delle regole delle diverse famiglie notazionali. Ackermans, mettendo il tutto in relazione agli aspetti modali, è dell’avviso che in queste regole trovi posto l’utilizzo del si bemolle grave. Ed anche il mi bemolle deve essere considerato con nuove prospettive e una nuova disposizione di ascolto. Infatti, nel Tritus, in molti casi, è semplicemente una nota che appartiene strutturalmente al modo, ma può anche avere un forte valore ed un reale impulso descrittivi. Inoltre, Franco Ackermans richiama alla necessità di prestare attenzione non tanto al mi bemolle quanto al mi che, in realtà, è un fa diesis. Se, ai fini esecutivi, la melodia non cambia – non essendoci differenze sostanziali in una versione con il mi bemolle rispetto ad una versione con il fa diesis –, il lavoro di Ackermans risulta importante per dimostrare l’importanza della presenza di segni di alterazione in perfetta sintonia con quanto il notatore intendeva esprimere.

Desidero concludere tornando al contributo iniziale nel quale Johannes Berchmans Göschl, pur costretto alla sintesi, efficacemente presenta alcuni aspetti, che per Agustoni furono fondamentali ai fini della comprensione dell’interpretazione del canto gregoriano. Aspetti che rimangono per noi attuali per il presente e per il futuro. Presumibilmente – sostiene Göschl – si innalzerebbe anche oggi la voce di Agustoni che, ammonendo, parlerebbe alla coscienza. Questo non dovrebbe scoraggiarci, ma essere uno sprone affinché il nostro rapporto con il canto gregoriano renda sempre più giustizia alle esigenze legate a questa grande arte. Chi ha conosciuto dal vivo Agustoni in azione, o nell’insegnamento o in prove, concerti oppure liturgie, è venuto a confronto, spesso senza riflettere su questo al momento, con un artista di grande personalità, raffinato e straordinariamente sensibile: il canto da lui eseguito era arte nel senso più vero della parola e, soprattutto, una forma di preghiera che tocca la persona intimamente. Concetti profondi: Göschl li riassume in una frase che per chi scrive è condivisa in toto per aver vissuto in prima persona la stagione agustoniana che rimarrà scolpita nei cuori di molti: «Luigi Agustoni ha posto la misura, sulla quale io misuro la mia interpretazione del canto gregoriano e quella degli altri interpreti. E così egli mi è rimasto, anche dopo la sua morte, quale ispiratore e fedele guida».

Giovanni Conti
direttore di Vox Antiqua

 

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