Vox Antiqua n. 6 - Indice
Editoriale
Giovanni Conti
Intervista a Jacques Le Goff
Roberto Antonini (a cura)
You must follow me” - Reworking Manere vivere into Serena virginum
gnieszka Budzińska-Bennett
Musiche liturgiche per la Sindone tra Torino e la Savoia: il Proprium Missæ
Enrico Demaria
Notitiæ
Editoriale
Una rivista come Vox Antiqua, votata al mondo della musica, ma con attenzione vivida a ciò che intorno accade, non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di pubblicare l’ultima corposa intervista realizzata con Jacques Le Goff. Il “Maestro del Medioevo” che ci ha insegnato ad andare oltre gli stereotipi dell’“età buia”, delle superstizioni, delle violenze e delle barbarie è scomparso nel 2014, dopo che la malattia lo aveva bloccato, consumandolo giorno dopo giorno. Prima che la situazione si aggravasse, uno storico prestato al giornalismo quale è lo svizzero Roberto Antonini, amico di lunga data dello storico francese, lo ha incontrato nella sua casa parigina raccogliendo una conversazione che spazia oltre le questioni legate al Medioevo, arrivando a mostrarci il volto più intimo di un uomo che difficilmente troverà un suo pari.
Recensire o commentare i pensieri di uno storico di tale portata costituisce un problema di non facile soluzione, a causa della densità dei concetti espressi all’interno anche di una sola risposta e che nascondono e racchiudono decine di anni di approfondimento e di ricerca storica.
Le vie percorribili sono sostanzialmente due: quella della ripresa di alcuni tra questi concetti, la loro analisi e la loro critica oppure una sorta di astrazione e di breve riepilogo delle vicende di vita di uno dei maggiori storici dell’età contemporanea.
La nostra scelta cade in parte su questa seconda posizione, poiché è nostra intenzione lasciare al lettore la decisione se accettare o meno alcune considerazioni di grande valenza in rapporto al vissuto contemporaneo, che inevitabilmente costringono a confrontarci con la realtà che ci circonda: i riferimenti vanno in primo luogo ai momenti del dialogo incentrati su uno dei fenomeni di maggiore pregnanza della realtà contemporanea, quello degli imponenti flussi migratori, che proprio nel corso di questi anni coinvolgono gran parte delle regioni europee, ma in particolar modo quelle che si affacciano sul cuore pulsante della vecchia Europa, i paesi mediterranei.
Le Goff ha avuto in sorte il dono di poter trascorrere la propria vita di studioso e ricercatore a stretto contatto con alcuni tra i più importanti storici del medioevo che hanno attraversato la storiografia delle XX secolo. Nato nel 1924, ha vissuto i profondi e rilevanti mutamenti che si sono succeduti, soprattutto in Francia, a partire dalla fondazione delle «Annales», modificando radicalmente l’approccio alla medievistica come fino ad allora si era concepito. Le Goff ha trasferito nella propria indagine storiografica i profondi mutamenti apportati da un modo di fare storia completamente nuovo e frutto della multidisciplinarietà e della collaborazione tra i diversi rami delle scienze storiche. I risultati, come emerge anche dal serrato botta e risposta delle pagine seguenti, sono stati anch’essi caratterizzati da una variegata tipologia e dall’ottenimento di obiettivi diversi come dimostrano le numerose ed evolutive opere dello storico francese. Innovative spesso per i contenuti come nel caso della straordinaria ricerca sulla nascita del concetto di Purgatorio nel contesto della quotidianità medievale, ma innovative fino al termine della sua vita sfociando nel ripensamento stesso della cronologia del mondo medievale, estendendone in maniera innovativa e polemica i confini; cancellando sostanzialmente decenni e forse secoli di rigidità che aveva trovato la propria ultima e definitiva cristallizzazione nel contesto delle teorie positivistiche del XIX secolo.
Il suo ultimo lavoro – Faut-il vraiment découper l’histoire en tranches? – ha di fatto cancellato la canonica periodizzazione del mondo medievale, eliminando anche, o meglio ampliando, il concetto e i contenuti del Rinascimento, intravedendone una sua poliedrica manifestazione sia nel contesto di un rinascimento carolingio sia in quello del XII secolo: concetti fortemente provocativi che lo storico non ha purtroppo avuto la possibilità di discutere in profondità, ma ha lasciato in eredità ai suoi allievi. La provocazione, mai fine a se stessa, si manifestava in quel pamphlet anche nella negazione di Carlo Magno “padre dell’Europa”, come inteso da molti suoi colleghi:
“Tutto il Medioevo europeo è scandito da una serie di rinascimenti, che nascono sempre nella memoria dell’impero romano. Tra questi vi è anche il rinascimento carolingio, che ha fatto appello a tutte le forze culturali presenti nel Sacro romano impero. Carlo Magno ha riunito attorno a sé molti grandi intellettuali dell’epoca dalle più diverse provenienze: irlandesi, franchi, germani, spagnoli, ecc. In questo ambito, pur senza averne la coscienza né la volontà, si è mosso in una prospettiva europea. Proprio la volontà di dare impulso alla cultura fa di lui una delle figure centrali dell’epoca medievale. Attorno a questo dato storico indiscutibile sono però poi nate molte leggende”.
Nel contesto del mondo accademico dei medievisti europei non sono naturalmente mancate le opposizioni, soprattutto da parte di chi era ancorato a una visione tradizionalista del mondo medievale, come peraltro vi sono state diverse adesioni: in Italia, su tutte, quella di Franco Cardini. Le indagini di Le Goff, Incentrate molto spesso sull’analisi della mentalità del mondo medievale, superando dunque la concentrazione degli interessi sugli aspetti più materiali della quotidianità, hanno portato lo storico, in particolare negli ultimi anni della sua vita, a ragionare in termini serrati sul confronto tra presente e futuro e a prendere posizione in maniera netta a favore di un indirizzo fortemente basato sui concetti di cooperazione e dialogo tra le diverse e a volte antitetiche culture che nel medioevo, come oggi, sono entrate in contatto. Indubbiamente queste sue prese di posizione rappresentano anche il frutto di decenni di attività in contesti che, per quanto innovativi, hanno dovuto affrontare scontri di natura sociale talvolta cruenti: l’attenzione nei confronti della storia della mentalità è stata per Le Goff l’occasione per cercare di cogliere il rapporto e i mutamenti in atto tra società e cultura, con particolare focalizzazione sui rapporti tra cultura elevata e cultura popolare (un tema, per inciso, particolarmente caro anche a un letterato come Dario Fo), con le inevitabili implicazioni di natura politica manifestatesi con grande rilievo nel corso degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso.
I mutamenti politici e il coinvolgimento del pensiero accademico hanno però fatto di quella classe di storici, e dunque anche di Le Goff, degli autentici maitre a penser, capaci di intervenire e indirizzare il pensiero sociale attraverso profonde riflessioni di natura storico-filosofica.
Evidente appare come, con la scomparsa di questa generazione di studiosi, stia venendo meno il ruolo dell’intellettuale a tutto campo nel pensiero e nella società contemporanea; non voglia questa sottolineatura apparire una critica, ma semplicemente la constatazione di uno status che ci appare definitivo. La rilettura delle opere di Le Goff si impone con rilevante urgenza anche nei confronti di quelle che ci possono apparire in parte datate, appartenendo ad anni in cui molti dei medievisti delle nuove generazioni non erano neanche nati. è tuttavia necessario rileggerle per comprendere il processo evolutivo del pensiero medievistico e non solo: questa ripresa è importante per comprendere a fondo quali siano stati gli stimoli che in anni oggettivamente difficili hanno portato uno storico come Le Goff ad approfondire determinate tematiche. Sarà allora estremamente utile rileggere anche il racconto dell’intenso rapporto tra lo storico francese e la moglie HanKa in cui, se il filo rosso da seguire è quello del rapporto sentimentale e strettissimo tra i due, dall’altra esso ci mostra in una serie rilevante di intersezioni i motivi politici, sociali e geografici entro i quali egli si trovò a vivere, sperimentando anche nella drammaticità delle situazioni contingenti, come per esempio l’imponente e opprimente presenza dell’Unione Sovietica sui paesi dell’est Europa, la qualità e la profondità di rapporti umani oggi difficili da comprendere: così possiamo leggere, per esempio, lo stretto rapporto di amicizia intessuto da Le Goff con il medievalista, ma forse e termine riduttivo e restrittivo, Bronisław Geremek.
La complessità di situazioni, la densità della vita vissuta, la tragicità di certi momenti che hanno attraversato tutta la vita di Jacques Le Goff impongono, anche nella eventuale differenza di vedute su certi aspetti e come in precedenza ho sottolineato, di astenersi da ogni giudizio, ma di concentrarsi semplicemente sulla elevata caratura intellettuale e morale di uno storico che può soltanto rivivere, oggi, attraverso i testi che ci ha lasciato, testamento morale di un uomo e di un’epoca che non possiamo dimenticare.
E per continuare a parlare di Medioevo, il numero di Vox Antiqua che abbiamo tra le mani ospita, senza nascondere soddisfazione, un contributo della musicista e musicologa di origine polacca Agnieszka Budzinska. Il saggio della docente presso la Schola Cantorum di Basilea, prestigioso centro di studio della musica antica, prende le mosse dalla considerazione che, nonostante una grande presenza dei motetti dell’Ars Antiqua nella letteratura di ricerca specializzata, gli argomenti affrontati nella maggior parte dei lavori su questo tema si rivolgono ad aspetti di trasmissione, notazione o stile.
Particolarmente carente è l’analisi profonda dei testi, poiché gli studi si focalizzano principalmente sul riconoscimento delle citazioni bibliche, sulle questioni grammaticali e lessicali e sui concetti teologici e solo raramente affrontano le conoscenze collegate agli strati eufonici del testo o alle connotazioni liturgiche che vanno oltre l’individuazione del tenore.
I due brani dal repertorio parigino del XIII secolo analizzati da Agnieszka Budzinska – il conductus motetto Serena virginum/MANERE ed il motetto Manere debes et vivere/MANERE – sono proposti in un interessante percorso applicabile in maniera innovativa all’analisi dei troppo spesso sottovalutati motetti dell’Ars Antiqua; i due motetti condividono il materiale musicale di due parti (tenor e motetus), ma nonostante la stessa struttura e la vincolante provenienza liturgica del tenore, i loro testi presentano temi diversi e distinte strategie poetiche. Il lavoro di Agnieszka Budzinska dimostra come questi due testi corrispondano uno all’altro, completandosi reciprocamente, formando un ‘insieme’ di significati più profondi.
L’occasione di un passo temporalmente più ampio è dato dallo studio di Enrico Demaria, che aggiunge un inedito capitolo alla storia musicale legata alla celebre reliquia della Sacra Sindone, partendo dai primi canti che fanno riferimento al Sacro Volto, databili a metà del Duecento e riconducibili a Innocenzo IV. Lo studioso torinese traccia un percorso legato al Proprium Missae che, frutto di diverse situazioni, ha costituito, nel canto e nella celebrazione, uno degli elementi principali e caratterizzanti delle molteplici ostensioni della Sindone. Sono momenti documentabili in diverse epoche e caratterizzati da un risvolto pubblico con la partecipazione di devoti pellegrini, ma anche momenti che sono la conseguenza di un’intima sensibilità della pietà riflessa nella quotidianità della preghiera e quindi anche nel canto.
Canto e ritualità che vedono la loro ufficializzazione sotto Giulio II nel 1506 e che sono il frutto di autori dalla profonda cultura biblica.
Il profilo tracciato da Demaria arriva fino all’attualizzazione del repertorio musicale sindonico nella liturgia riformata del post Concilio Vaticano II, sottolineando come il canto dedicato alla preziosa reliquia sia inestimabile testimonianza di un vissuto di devozione e fede, oltre che specchio di una prassi musicale in continua evoluzione.
Giovanni Conti Marco ferrero
direttore e vice direttore di Vox Antiqua